A quattro anni di distanza dal precedente “Up&Down – Un film normale”, il regista e attore, qui accompagnato da Ivana Di Biase, torna con un nuovo lavoro questa volta dedicato all’Alzheimer. Storie dolorose ma piene d’amore.
Non non documentario scientifico , come ci tiene a precisare lo stesso Ruffini, ma solo un film d’amore insieme a una carezza verso tutti coloro che in un periodo difficile come quello che noi tutti stiamo vivendo, continuano a stare vicino ai proprio cari devastati da questa malattia feroce e devastante che “colpisce chi si ammala ma colpisce e aggredisce anche le famiglie nei loro sentimenti più profondi”.
“Io non so chi sono. Io non so chi sei ma so che ti amo. Questa dichiarazione disperata l’abbiamo riscontrata nelle 15 testimonianze e ci ha portato alla conclusione che questo film è un gran film d’amore” racconta ancora il regista che si è impegnato quasi due anni per portare a termine questa sua lunga esplorazione commovente e profonda tra malati e familiari investiti da questa malattia neurodegenerativa. E infine la scoperta più bella. Dice Ruffini: “I malati di Alzheimer sono dei malati sublimi”.
Un viaggio bellissimo che porta a comprendere la differenza tra guarire e curare. Nonostante nei pazienti la memoria della realtà sia sgretolata, resta la memoria emotiva che rappresenta l’unico legame con la vita che li circonda. «I malati di Alzheimer hanno una consapevolezza sul senso della vita diversa dalla nostra, noi viviamo per il successo e il conseguimento degli obiettivi, il senso per loro è amare, sono innamorati sublimi — precisa Ruffini —: è come se la malattia risucchiasse loro qualsiasi tipo di organo, a partire dal cervello, tranne l’amore, che non risiede nel corpo, ma è altrove. Capita che non sappiano chi sono e chi sei tu, ma sanno che ti amano».
Il fulcro narrativo della pellicola non è dunque la malattia, ma sono le emozioni e i sentimenti che legano i pazienti ai loro cari. «In Italia ci sono 1,2 milioni di malati di Alzheimer, male feroce e vergognoso a causa di un retaggio culturale, ma a esserne colpiti sono anche i familiari che, spesso, muoiono prima per lo stress psicofisico — aggiunge il regista —. Non si guarisce, ma si può essere curati; da testimone ho cercato di raccontare qualcosa che avrei voluto vedere, non penso sia il film più bello che ho fatto, ma il più bello che ho visto».
Dopo l’uscita evento in sala dal 14 al 16 Febbraio, il film arriverà anche su Sky per poi tornare al cinema nel prossimo mese di marzo.